Con il DLgs. 24.9.2015 n. 158, pubblicato sul S.O. n. 55 alla Gazzetta Ufficiale 7.10.2015 n. 233, è stato riformato il sistema delle sanzioni amministrative tributarie.
Uno dei tratti salienti della riforma si concretizza nel diminuire il carico sanzionatorio per le violazioni relative ad adempimenti (ad esempio, dichiarazioni) che, sebbene siano stati assolti tardivamente, sono contenuti entro limiti temporali più o meno esigui.
Del pari, si assiste ad un generale ridimensionamento delle sanzioni previste per le ipotesi “base” delle violazioni più comuni, basti pensare, come si illustrerà, alla dichiarazione infedele e alla fatturazione delle operazioni.
Nel contempo, sono stati introdotti aumenti di sanzioni in relazione alle condotte indice di particolare “pericolosità fiscale”, consistenti, ad esempio, nell’utilizzo di artifici e raggiri strumentali ad evitare il pagamento delle imposte.
Molte sanzioni sono ora espresse in euro, sostituendo la precedente versione, che faceva ancora riferimento alle lire.
Infine, non mancano innovazioni relative alla parte generale della disciplina sanzionatoria, che incidono sulle modalità di determinazione della pena.
Di seguito si analizzano le principali novità.
1.1 Decorrenza della riforma
Ai sensi dell’art. 32 co. 1 del DLgs. 158/2015, “le disposizioni del presente decreto si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2017”.
Bisogna però evidenziare che il Ddl. di stabilità 2016, in corso di esame parlamentare, prevede una modifica all’art. 32 co. 1 del DLgs. 158/2015, in base alla quale è prevista l’anticipazione della decorrenza all’1.1.2016.
1.2 Applicazione del favor rei
L’art. 3 del DLgs. 472/97 enuncia la regola del “favor rei”: in base a ciò, se più leggi che si succedono nel tempo disciplinano la stessa sanzione, si applica quella più favorevole al contribuente, salvo che l’atto di contestazione della sanzione stessa, l’avviso di accertamento o altro atto impositivo sia ormai definitivo (quindi non censurato in via giudiziale oppure oggetto di una sentenza non più impugnabile). Invece, se la legge successiva abolisce la rilevanza della condotta sanzionatoria, il debito, con esclusivo riferimento alla sanzione, è estinto, ma non è possibile chiedere la restituzione di quanto già corrisposto.
I principi riportati operano “salvo diversa previsione di legge”.
Come sopra esposto, per effetto dell’art. 32 co. 1 del DLgs. 158/2015, “le disposizioni del presente decreto si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2017”. Se la norma è così formulata, si potrebbe sostenere che il legislatore, implicitamente, abbia inteso derogare al favor rei, per cui gli uffici potrebbero mettere in discussione il fatto che le nuove norme più favorevoli al contribuente operino in via retroattiva.
Va ulteriormente evidenziato che, in base al Ddl. di stabilità 2016 in corso di esame parlamentare, nell’anticipare la decorrenza all’1.1.2016, si specifica che rimangono valide le misure delle sanzioni pregresse ai fini della procedura di voluntary disclosure ex L. 186/2014. Da ciò si può ricavare la volontà del legislatore di prevedere comunque il favor rei, posto che in caso contrario la precisazione relativa alla voluntary disclosure sarebbe assolutamente superflua.
2 criteri per determinare la sanzione
Vengono mutati alcuni criteri per la determinazione della sanzione.
Rimane fermo che la sanzione, ove previsto dalla legge, può essere irrogata dagli enti impositori all’interno del c.d. “limite edittale”, quindi tra il minimo ed il massimo indicato dalla norma. L’irrogazione della sanzione in misura superiore al minimo va adeguatamente motivata.
2.1 riduzione della sanzione sino alla metà del minimo
Nel testo vigente, la sanzione, ai sensi dell’art. 7 co. 4 del DLgs. 472/97, può essere ridotta sino alla metà del minimo in presenza di “eccezionali” circostanze che la rendono spropositata rispetto al fatto commesso.
La riforma elimina l’aggettivo “eccezionali”, ampliando, di conseguenza, le ipotesi in cui è ammessa la menzionata riduzione.
2.2 applicazione della recidiva
Viene previsto che, ferma restando la riduzione alla metà del minimo per sproporzione tra violazione commessa e sanzione irrogabile, la sanzione è aumentata sino alla metà nei confronti di chi, nei tre anni precedenti, ha commesso violazioni della stessa indole, a meno che le stesse siano state oggetto di accertamento con adesione, mediazione o conciliazione giudiziale.
Rispetto al testo attuale, da un lato, l’ente impositore può, anche in caso di recidiva, considerare la riduzione della sanzione sino alla metà del minimo per sproporzione tra entità della stessa e violazione commessa, dall’altro, deve necessariamente operare la recidiva, in costanza dei requisiti di legge. Trattasi di un caso che può essere frequente: si pensi al contribuente che, per due anni, ha omesso di dichiarare ricavi o ha dedotto costi non inerenti.
2.3 cumulo giuridico e continuazione
Quando il contribuente commette diverse violazioni della legge fiscale, anche in più annualità, le sanzioni non sono, di norma, sommate, posto che è prevista l’applicazione di una sanzione unica con i criteri individuati dall’art. 12 del DLgs. 472/97. Per effetto di ciò, al contribuente viene contestata una sanzione anche di gran lunga inferiore a quella irrogabile ove fosse legittimo applicare la somma delle singole pene.
Nel sistema attuale, quanto esposto trova applicazione altresì all’interno della fase di mediazione e di conciliazione giudiziale, fatto che, talvolta, rende particolarmente convenienti i menzionati istituti; la riduzione derivante dalla sanzione determinata in maniera unica si aggiunge infatti a quella prevista per gli stessi (riduzione del 40%).
Il DLgs. 158/2015 riforma quanto esposto, sancendo che, nella mediazione e nella conciliazione giudiziale, il cumulo opera limitatamente alla singola imposta e alla singola annualità, il che riduce enormemente la sua applicabilità. Ad esempio, un contribuente che, semplicemente, ha omesso di dichiarare un ricavo non beneficia del cumulo in caso di conciliazione giudiziale o di mediazione (la violazione, infatti, rileva ai fini di due imposte, l’IRPEF/IRES e l’IVA).
3 dichiarazione omessa
Viene confermata la sanzione “base” prevista per l’omessa dichiarazione, dal 120% al 240% delle imposte dovute, specificando espressamente che ciò vale pure ai fini IRAP, con un minimo di 250,00 euro. Se non sono dovute imposte, la sanzione continua ad essere fissa, da 250,00 euro a 1.000,00 euro.
Tuttavia, ove la dichiarazione sia presentata entro il termine per l’invio di quella per l’anno successivo e comunque prima dell’inizio di un controllo fiscale, la sanzione è dimezzata, e diviene quindi dal 60% al 120% delle imposte, con un minimo di 200,00 euro. In quest’ultima fattispecie, se non sono dovute imposte la sanzione è anche in tal caso fissa, da 150,00 euro a 500,00 euro.
L’innovazione è indipendente dal ravvedimento operoso, che, ai sensi dell’art. 13 co. 1 lett. c) del DLgs. 472/97, continua ad essere possibile solo entro 90 giorni dal termine per la presentazione della dichiarazione. Si segnala però che l’invio della dichiarazione con pagamento integrale delle imposte entro il termine di presentazione di quella per l’anno successivo e comunque prima dell’inizio di un controllo fiscale/penale rappresenta una causa di non punibilità del reato di omessa dichiarazione.
Le sanzioni applicabili quando non sono dovute imposte possono essere aumentate sino al doppio nei confronti dei soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili.
Rimane l’aumento di un terzo per l’omessa indicazione dei redditi prodotti all’estero, con riferimento alle imposte o alle maggiori imposte relative a tali redditi.
Le medesime considerazioni, a livello generale, valgono per l’IVA, con la differenza che, da un lato, la sanzione per omessa dichiarazione dalla quale non emergono imposte va da 250,00 euro a 2.000,00 euro, dall’altro, non è previsto il raddoppio per i contribuenti obbligati alla tenuta delle scritture contabili.
4 dichiarazione infedele
Viene abbassata la sanzione “base” contemplata per la dichiarazione infedele (indicazione, ai fini delle singole imposte, di un minor reddito, di un’imposta inferiore o di un credito superiore a quello spettante). Essa diviene dal 90% al 180% della maggiore imposta dovuta o della differenza del credito utilizzato, in luogo di quella dal 100% al 200% della maggiore imposta o della differenza di credito.
La “nuova” versione dell’art. 1 co. 2 del DLgs. 471/97 fa riferimento alla “differenza del credito utilizzato” e non più alla sola “differenza del credito”, sicché si può dedurre che non potrà essere sanzionato, ai fini dichiarativi, il contribuente che indica in dichiarazione un credito non spettante, senza utilizzarlo in compensazione.
Si segnala che l’invio della dichiarazione, emendata degli errori, entro il termine di presentazione di quella relativa all’anno successivo e prima dell’inizio di un controllo fiscale/penale, in occasione del ravvedimento operoso, è una causa di non punibilità del reato di dichiarazione infedele.
Come nel sistema attuale, la sanzione opera anche in caso di indebite detrazioni d’imposta o deduzioni dall’imponibile, pure se attribuite in sede di ritenuta alla fonte.
Tale sanzione concerne altresì l’IRAP; infatti è inclusa l’indicazione di un valore della produzione imponibile inferiore a quello accertato.
La sanzione da dichiarazione infedele è aumentata della metà “quando la violazione è realizzata mediante l’utilizzo di documentazione falsa o per operazioni inesistenti, mediante artifici o raggiri, condotte simulatorie o fraudolente”.
Fuori dalle ipotesi appena menzionate, la sanzione è ridotta di un terzo quando la maggiore imposta o il minor credito sono complessivamente inferiori al 3% dell’imposta e del credito dichiarati, e comunque complessivamente inferiori a 30.000,00 euro. A ben vedere, si tratta di una formulazione normativa “infelice”. Dal punto di vista letterale, sembra che l’unico limite alla riduzione di un terzo sia rappresentato dalla soglia d’imposta dei 30.000,00 euro, ma, se così stanno le cose, appare pleonastico il riferimento al 3%. Nella Relazione illustrativa si precisa che l’introduzione del limite dei 30.000,00 euro è funzionale ad evitare che i soggetti di grandi dimensioni fruiscano di una “franchigia di evasione” (quella del 3%) che può diventare cospicua.
Rimane la previsione secondo cui per maggiore imposta si intende la differenza tra quella accertata e quella liquidabile in seguito al controllo automatico della dichiarazione.
Del pari, permane l’aumento di un terzo per l’omessa indicazione dei redditi prodotti all’estero, con riferimento alle imposte o alle maggiori imposte relative a tali redditi.
Non viene riproposto quanto previsto dai co. 2-bis e 2-bis.1 dell’art. 1 del DLgs. 471/97, relativo alle maggiorazioni (del 10% e del 50%) della sanzione in conseguenza di inosservanze sul modello per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini degli studi di settore.
Le medesime considerazioni valgono, a livello generale, anche per l’IVA.
5 violazioni sulla competenza fiscale
L’errata imputazione a periodo delle componenti reddituali, attualmente, è considerata una violazione che dà luogo all’ordinaria sanzione da dichiarazione infedele.
La fattispecie viene ora disciplinata espressamente, prevedendo, all’art. 1 del DLgs. 471/97, che, fuori dalle ipotesi del terzo comma (aumento della metà in conseguenza di condotte fraudolente), la sanzione da dichiarazione infedele è ridotta di un terzo quando l’infedeltà deriva dall’errata imputazione a periodo, “purché il componente positivo abbia già concorso alla determinazione del reddito nell’annualità in cui interviene l’attività di accertamento o in una precedente”.
Ipotizziamo un contribuente che, nell’anno x+2, dichiara un ricavo che avrebbe dovuto essere dichiarato nell’anno x. La riduzione di un terzo si applica se, ad esempio, l’accertamento è notificato nell’anno x+3.
In merito ai componenti negativi di reddito (ad esempio i costi), non ci sono limitazioni di sorta.
Se, invece, la violazione della competenza fiscale non ha comportato danno per l’Erario, opera la sanzione fissa di 250,00 euro. Potrebbe essere il caso in cui, nei soggetti IRES ove il tributo è proporzionale, i ricavi sono stati dichiarati anticipatamente o i costi sono stati dichiarati posticipatamente.
6 Canoni di locazione
L’art. 3 co. 5 del DLgs. 23/2011 prevede che, se nella dichiarazione dei redditi non sono indicati o sono indicati in misura inferiore i canoni di locazione immobiliare ad uso abitativo, le sanzioni da omessa dichiarazione e da dichiarazione infedele sono raddoppiate. Detta norma viene abrogata e sostituita dall’art. 1 co. 7 del DLgs. 471/97.
In base a ciò, se, nei casi previsti dall’art. 3 del DLgs. 23/2011, il canone di locazione immobiliare ad uso abitativo non è dichiarato o è dichiarato in misura inferiore, le sanzioni previste dai co. 1 e 2 sono raddoppiate. Detto ciò, la sanzione potrà quindi essere dal 240% al 480% dell’imposta in caso di omessa dichiarazione del canone locatizio, oppure dal 180% al 360% in caso di infedele dichiarazione del medesimo.
A differenza del sistema vigente, per come è formulata la norma, il raddoppio della sanzione sembra operare solo quando il contribuente ha optato per la “cedolare secca”.
Il regime sanzionatorio descritto non riguarda le locazioni stipulate nell’esercizio di imprese, arti e professioni, siccome l’art. 3 del DLgs. 23/2011 concerne solo i redditi fondiari.
Si evidenzia ancora che l’abrogazione dell’art. 3 co. 5 del DLgs. 23/2011 comporta che, in sede di adesione e di acquiescenza, permangono, pure in tal caso, le normali riduzioni delle sanzioni.
7 Fatturazione/Registrazione delle operazioni
Diminuisce la sanzione sull’errata documentazione/registrazione delle operazioni imponibili ex art. 6 co. 1 del DLgs. 471/97, che non sarà più dal 100% al 200% dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato/registrato nel corso dell’anno, ma dal 90% al 180%. Rimane la misura minima della sanzione, pari a 500,00 euro.
Si introduce, nella norma richiamata, un apposito periodo, che sancisce: “la sanzione è dovuta nella misura da euro 250 a euro 2.000 quando la violazione non ha inciso sulla corretta liquidazione del tributo”.
Ferma restando la necessità di attendere le prime sentenze della giurisprudenza, pare che tale sanzione possa applicarsi ai casi in cui la compilazione della fattura o la registrazione delle operazioni non siano avvenute correttamente, si pensi all’errore sull’individuazione della controparte, di numerazione della fattura e così via. Dette violazioni, per l’Amministrazione finanziaria, rientravano nell’irregolare tenuta della contabilità, sanzionata dall’art. 9 del DLgs. 471/97, da 1.000,00 euro a 8.000,00 euro (C.M. 25.1.99 n. 23, § 2.4).
Invece, non sembra che la questione si riferisca al caso in cui il contribuente abbia sanato la violazione entro la prima liquidazione utile, siccome violazione meramente formale non sanzionabile ai sensi dell’art. 6 co. 5-bis del DLgs. 472/97 (il principio è stato ribadito, da ultimo, in occasione dell’innalzamento dal 21% al 22% dell’aliquota IVA ad opera del DL 98/2011, con il comunicato stampa Agenzia delle Entrate 30.9.2013). Rileviamo però che, secondo alcuni commentatori, la fattispecie sarebbe proprio quella da ultimo descritta.
Rimangono invariate le altre norme relative a tale fattispecie; così, per esempio, l’errore sulla fatturazione/registrazione della medesima operazione è considerato unico e le violazioni sugli scontrini sono sanzionate nella misura del 100% dell’imposta.
8 Indebita detrazione dell’Iva
Viene prevista la diminuzione della sanzione per l’indebita detrazione, ora pari al 100% dell’imposta (si pensi al contribuente che detrae l’IVA sui costi non inerenti).
In futuro, sarà pari al 90% della stessa.
9 Reverse Charge
La disciplina sanzionatoria del reverse charge viene interamente riformata, e non sarà più contenuta nel solo co. 9-bis dell’art. 6 del DLgs. 471/97, ma anche nei “nuovi” co. 9-bis.1, 9-bis.2 e 9-bis.3.
Il regime opera per chi, nell’esercizio di imprese/arti/professioni, non osserva gli obblighi connessi al reverse charge di cui agli artt. 17, 34 co. 6 secondo periodo e 74 co. 7 e 8 del DPR 633/72 (ad esempio, transazioni relative al comparto dell’edilizia).
Il meccanismo del reverse charge, strumentale a prevenire le frodi IVA, si concretizza nell’emissione della fattura senza IVA ad opera del cedente/prestatore, e nell’integrazione della stessa ad opera del cessionario/committente, che la dovrà annotare sia nel registro degli acquisti che in quello delle vendite, cagionando la sostanziale neutralità dell’operazione, salvo sussistano limiti al diritto di detrazione.
9.1 Omesso reverse charge
Attualmente, se il cessionario/committente non effettua l’inversione contabile, c’è la sanzione dal 100% al 200% dell’imposta, con un minimo di 258,00 euro.
Nel “nuovo” co. 9-bis del DLgs. 471/97, ciò è punito con una sanzione fissa da 500,00 euro a 20.000,00 euro. Qualora, però, l’operazione non risulti nemmeno dalla contabilità tenuta ai sensi del DPR 600/73 (esempio, dal libro giornale o dal registro acquisti), la sanzione è elevata ad una misura compresa tra il 5% e il 10% dell’imponibile, con un minimo di 1.000,00 euro.
Per l’imposta che il cessionario/committente non avrebbe potuto detrarre, rimangono le sanzioni da indebita detrazione e da dichiarazione infedele ex art. 5 co. 4 e 6 del DLgs. 471/97.
9.2 Regolarizzazione dell’operazione (cessionario/committente)
Nel modello vigente, qualora il cedente/prestatore ometta di fatturare un’operazione soggetta a reverse charge, nei suoi confronti sono irrogabili le sanzioni previste dall’art. 6 co. 2 del DLgs. 471/97. Pertanto, è applicabile una sanzione compresa tra il 5% ed il 10% dei corrispettivi non documentati, oppure da 258,00 euro a 2.065,00 euro, se la violazione non rileva né ai fini IVA né ai fini delle imposte sul reddito.
Rimane però fermo l’obbligo di regolarizzazione ad opera del cessionario/committente, previsto dall’art. 6 co. 8 del DLgs. 471/97. Quindi, egli deve, decorsi 4 mesi dall’operazione, presentare all’ufficio competente nei suoi confronti, previo pagamento dell’imposta, entro il trentesimo giorno successivo, un documento in duplice esemplare dal quale risultino le indicazioni dell’art. 21 del DPR 633/72, concernente la fatturazione.
Il “nuovo” art. 6 co. 9-bis del DLgs. 471/97 non rinvia più al co. 8 (omessa regolarizzazione del cessionario/committente) ma al primo periodo dello stesso comma.
Secondo le nuove disposizioni, se il cedente/prestatore non emette fattura o la emette in maniera errata e il cessionario/committente non regolarizza entro i 30 giorni decorrenti dallo spirare dei 4 mesi da quando l’operazione avrebbe dovuto essere fatturata o dalla fatturazione irregolare, soggiace alle sanzioni prima descritte. Quindi, sanzione fissa da 500,00 euro a 20.000,00 euro oppure, se l’operazione non risulta nemmeno dalla contabilità tenuta ai sensi del DPR 600/73, elevata ad una misura compresa tra il 5% e il 10% dell’imponibile, con un minimo di 1.000,00 euro.
9.3 errata emissione della fattura con IVA
Ora, se, per errore, il cedente/prestatore emette una fattura con IVA in situazioni ove si sarebbe dovuto applicare il reverse charge, possono verificarsi due situazioni:
- se l’IVA non è stata nemmeno versata, la sanzione è dal 100% al 200% dell’imposta, con un minimo di 258,00 euro;
- se l’IVA è stata versata, la sanzione è pari al 3% dell’imposta irregolarmente assolta, con un minimo di 258,00 euro.
Fermo restando il diritto alla detrazione, c’è una responsabilità solidale tra i due soggetti per imposta e sanzione.
In base al DLgs. 158/2015, la sanzione, nella fattispecie descritta (imposta irregolarmente assolta dal cedente/prestatore), risulta a carico del cessionario/committente, e va da 250,00 euro a 10.000,00 euro. Il cedente/prestatore, per la sanzione, è un obbligato solidale, e deve corrispondere l’IVA addebitata in fattura.
Rimane fermo il diritto di detrazione, in costanza dei requisiti di legge, ad opera del cessionario/committente.
Sembra potersi sostenere che, se il cessionario/committente intende evitare la propria responsabilità sanzionatoria, debba chiedere al cedente/prestatore la riemissione corretta della fattura, per poi procedere con l’inversione contabile.
Quanto esposto non opera e il cessionario/committente è punito con la sanzione del co. 1 (dal 90% al 180% dell’imposta con un minimo di 500,00 euro) “quando l’applicazione dell’imposta nel modo ordinario anziché mediante l’inversione contabile è stata determinata da intento di evasione o di frode del quale sia provato che il cessionario o committente era consapevole”.
9.4 Errata applicazione del reverse charge
Nel sistema vigente, se il cedente/prestatore emette per errore una fattura senza IVA, il cessionario/committente può, a sua volta, effettuare indebitamente l’inversione contabile; in tal caso, la sanzione è pari al 3% dell’imposta irregolarmente assolta con un minimo di 258,00 euro.
Fermo restando il diritto alla detrazione, c’è una responsabilità solidale tra i due soggetti per imposta e sanzione.
In base al DLgs. 158/2015, la sanzione, nella fattispecie descritta (imposta irregolarmente assolta dal cessionario/committente), risulta a carico del cedente/prestatore, e va da 250,00 euro a 10.000,00 euro. Il cessionario/committente, per la sanzione, è obbligato solidale.
Rimane fermo il diritto di detrazione, in costanza dei requisiti di legge, ad opera del cessionario/committente.
Quanto esposto non opera e il cedente/prestatore è punito con la sanzione del co. 1 (dal 90% al 180% dell’imposta con un minimo di 500,00 euro) “quando l’applicazione dell’imposta mediante l’inversione contabile anziché nel modo ordinario è stata determinata da intento di evasione o di frode del quale sia provato che il cedente o prestatore era consapevole”.
Si evidenzia che, in tal caso, alcune Direzioni provinciali, con un’interpretazione rigettata da parte della giurisprudenza, disconoscono il reverse charge e irrogano le sanzioni per l’omessa fatturazione delle operazioni.
9.5 Errata applicazione del reverse charge (operazioni non imponibili, esenti, escluse)
Viene disciplinata l’ipotesi in cui il cessionario/committente, per errore ma anche a titolo cautelativo, effettua il reverse charge a fronte di una fattura emessa senza IVA in quanto relativa a operazioni non imponibili, esenti oppure escluse.
Si tratta della fattispecie in cui il cessionario/committente italiano assolve l’IVA tramite reverse charge quando ritiene, per sbaglio, che una prestazione di servizi extraterritoriali debba essere tassata in Italia. Gli uffici finanziari, in situazioni del genere, da un lato, disconoscevano il diritto di detrazione, dall’altro, lo recuperavano.
In sede di accertamento, devono, per effetto della modifica, essere espunti il debito computato nelle liquidazioni d’imposta e la detrazione operata.
Rimane fermo il diritto di recuperare l’IVA non detratta.
Quanto esposto trova applicazione altresì nell’ipotesi delle operazioni inesistenti, ma è prevista una sanzione compresa tra il 5% e il 10% dell’imponibile, con un minimo di 1.000,00 euro.
Dal quadro normativo emerge quindi che, salva la fattispecie delle operazioni inesistenti, non saranno applicate sanzioni.
10 Acquisti Iva intracomunitari
La “nuova” disciplina del reverse charge opera pure per gli acquisti intracomunitari. Nella menzionata ipotesi, l’inversione contabile avviene ex artt. 46 co. 1 e 47 co. 1 del DL 331/93.
Viene così risolta una disputa che da anni interessa i giudici tributari. Nel reverse charge in oggetto, l’omessa inversione contabile è sempre considerata sanzionabile ai sensi dell’art. 6 co. 9-bis primo periodo del DLgs. 471/97 (dal 100% al 200% dell’imposta), e mai ai sensi del terzo periodo (3%).
Dovrebbe ora essere applicabile la sanzione del “nuovo” art. 6 co. 9-bis primo periodo del DLgs. 471/97, da 500,00 euro a 20.000,00 euro, o dal 5% al 10% dell’imponibile se l’operazione non emerge nemmeno dalle scritture contabili, con un minimo di 1.000,00 euro.
11 Domanda di rimborso Iva infondata
Viene punito chi chiede a rimborso l’eccedenza Iva detraibile risultante dalla dichiarazione in assenza dei presupposti dell’art. 30 del DPR 633/72, con una sanzione pari al 30% del credito rimborsato.
Giova evidenziare che la norma punisce non la semplice richiesta di rimborso non spettante, ma il suo ottenimento (la sanzione, infatti, è pari al 30% del credito “rimborsato”).
12 Dichiarazioni d’intento
Ai sensi dell’art. 7 co. 4-bis del DLgs. 471/97, è sanzionato, per un importo dal 100% al 200% dell’imposta dovuta, il fornitore che effettua operazioni non imponibili prima di aver ricevuto dall’esportatore abituale la dichiarazione di intento o prima di aver riscontrato telematicamente l’avvenuta ricezione della dichiarazione da parte dell’Agenzia delle Entrate. In sostanza, viene ribadita la prescrizione dell’art. 7 co. 3 del DLgs. 471/97, relativa all’esecuzione di operazioni in regime di non imponibilità in assenza della dichiarazione d’intento.
In base al DLgs. 158/2015, la sanzione non sarà più dal 100% al 200% dell’imposta, ma applicata in misura fissa, per un importo variabile da 250,00 euro a 2.000,00 euro.
13 Dichiarazioni del sostituto d’imposta
Viene confermata la sanzione “base” prevista per l’omessa dichiarazione del sostituto d’imposta, dal 120% al 240% delle ritenute non versate, con un minimo di 250,00 euro.
Tuttavia, ove la dichiarazione sia presentata entro il termine per l’invio di quella per l’anno successivo e comunque prima dell’inizio di un controllo fiscale, la sanzione è dimezzata, e diviene dal 60% al 120% delle ritenute non versate, con un minimo di 200,00 euro. L’innovazione è indipendente dal ravvedimento operoso, che, ai sensi dell’art. 13 co. 1 lett. c) del DLgs. 472/97, continua ad essere possibile solo entro 90 giorni dal termine per la presentazione della dichiarazione.
Oltre alle sanzioni dichiarative esposte, continua ad esserci una sanzione di 50,00 euro per ogni percipiente non indicato nel modello 770.
Se le ritenute relative ai compensi, interessi, ed altre somme, benché non dichiarate, sono state versate, la sanzione è fissa da 250,00 euro a 2.000,00 euro. In quest’ultimo caso, se la dichiarazione è presentata entro il termine per l’invio di quella relativa all’anno successivo, la sanzione è da 150,00 euro a 500,00 euro, e quella di cui al successivo co. 4 è ridotta del 50% (trattasi della sanzione di 50,00 euro per ogni percipiente non indicato in dichiarazione).
Viene invece abbassata la sanzione “base” per la dichiarazione infedele (compensi, interessi e altre somme dichiarati in misura inferiore all’accertato), che diviene dal 90% al 180% delle ritenute non versate con un minimo di 250,00 euro, in luogo di quella, vigente, dal 100% al 200% delle ritenute non versate, con un minimo di 258,00 euro.
La sanzione da dichiarazione infedele sarà aumentata della metà “quando la violazione è realizzata mediante l’utilizzo di documentazione falsa, mediante artifici o raggiri, condotte simulatorie o fraudolente”.
Fuori dalle ipotesi menzionate, la sanzione è ridotta di un terzo quando l’ammontare delle ritenute non versate riferibili alla differenza tra compensi, interessi ed altre somme accertati e dichiarati è inferiore al 3%, e comunque a 30.000,00 euro.
Se le ritenute relative ai compensi, interessi, ed altre somme, benché non dichiarate, sono state versate, la sanzione è fissa da 250,00 euro a 2.000,00 euro.
Anche in tal caso, rimane la sanzione di 50,00 euro per ogni percipiente non indicato nel modello 770.
14 Ritenute fiscali
Nel sistema attuale, in caso di mancata applicazione nonché versamento della ritenuta, sono pacificamente applicabili sia le sanzioni del 20% (mancata applicazione) che del 30% (omesso versamento).
Per il futuro, sarà invece applicabile una sola sanzione.
Si potrebbe sostenere che, se il sostituto non applica né versa la ritenuta, sia operante la sola sanzione del 30% da omesso versamento, assorbente, in quanto più grave, quella da mancata applicazione della stessa (se così fosse, la sanzione del 20% ex art. 14 del DLgs. 471/97 opererebbe solo quando il sostituto versa la ritenuta senza averla previamente applicata).
Invece, secondo una diversa opinione, in tal caso è operante la sola sanzione del 20% (la logica risiede nel fatto che il mancato versamento è la naturale conseguenza dell’omessa applicazione della ritenuta, violazione che assorbe quella sul versamento dal punto di vista cronologico).
15 Certificazioni delle ritenute
L’art. 4 co. 6-quinquies del DPR 322/98 stabilisce che le certificazioni delle ritenute rilasciate ai sostituiti dai sostituti d’imposta sono trasmesse in via telematica all’Agenzia delle Entrate entro il 7 marzo dell’anno successivo a quello in cui le somme e i valori sono stati corrisposti.
Per ogni certificazione omessa, tardiva o errata si applica una sanzione di 100,00 euro, in deroga all’art. 12 del DLgs. 472/97. Nel decreto si introduce un limite massimo alla sanzione per ogni sostituto d’imposta, che non potrà superare i 50.000,00 euro.
Inoltre, si stabilisce che, se la certificazione è trasmessa entro sessanta giorni dal termine, la sanzione è ridotta ad un terzo con un massimo di 20.000,00 euro.
16 Registrazione delle locazioni immobiliari
Nel caso di omesso pagamento dell’imposta relativa alle cessioni, risoluzioni e proroghe anche tacite dei contratti di locazione, è irrogata la sanzione dell’art. 13 del DLgs. 471/97, pari al 30% dell’importo non versato. Viene di fatto ratificata la prassi già in essere.
Si introduce poi una sanzione per il locatore che, avendo optato per la “cedolare secca”, non comunica, entro il termine di 30 giorni, la risoluzione del contratto. La pena è prevista nella misura di 67,00 euro, ridotta a 35,00 euro se il ritardo non è superiore a 30 giorni.
Rimane fermo che, se il contratto non è registrato, anche in presenza dell’opzione per la “cedolare secca” opera la sanzione da tardiva registrazione ex art. 69 del DPR 131/86.
Riguardo all’omessa registrazione degli atti (art. 69 del DPR 131/86), essa continua ad essere punita con una sanzione dal 120% al 240% dell’imposta dovuta. Tuttavia, si prevede che se la registrazione è effettuata con ritardo non superiore a 30 giorni, la sanzione va dal 60% al 120% dell’imposta, con un minimo di 200,00 euro.
17 Dichiarazione di successione
L’omessa presentazione della dichiarazione di successione continua ad essere punita con una sanzione dal 120% al 240% dell’imposta liquidata o riliquidata dall’Ufficio. Se non è dovuta imposta opera la sanzione fissa da 250,00 euro a 1.000,00 euro.
Tuttavia, si prevede che se la dichiarazione viene presentata con ritardo non superiore a 30 giorni, la sanzione va dal 60% al 120% dell’imposta liquidata/riliquidata dall’Ufficio. Ove non ci sia imposta, essa va da 150,00 euro a 500,00 euro.
18 Tardivi versamenti di imposte
La condotta sottesa alla violazione di tardivo/omesso versamento di tributi non viene cambiata; infatti essa continua ad essere circoscritta alle inadempienze che si verificano al di fuori dei tributi iscritti a ruolo.
Viene però dimezzata la sanzione quando la tardività è contenuta entro i 90 giorni dalla scadenza del termine.
In virtù di ciò, i tardivi versamenti saranno così puniti:
- per i ritardi sino a 14 giorni, la sanzione operante sarà quella del 15% ridotta a 1/15 per giorno di ritardo;
- per i ritardi da 15 a 90 giorni, la sanzione sarà pari al 15%;
- per i ritardi superiori a 90 giorni, la sanzione sarà pari al 30%.
Evidenziamo che ciò è indipendente dal ravvedimento operoso, per cui le riduzioni delle sanzioni derivanti dal medesimo dovranno essere applicate sulle nuove percentuali, come sopra indicate.
È bene precisare che il ravvedimento operoso, se posto in essere prima dell’apertura del dibattimento di primo grado, rende non punibili i reati di omesso versamento IVA e di ritenute.
19 Modello f24 “a zero”
Introducendo il co. 2-bis nell’art. 15 del DLgs. 471/97, si sanziona, specularmente a quanto previsto dall’art. 19 co. 4 del DLgs. 241/97 (che viene contestualmente abrogato), l’omessa presentazione del modello F24 contenente i dati relativi all’eseguita compensazione, con una pena fissa di 100,00 euro. La sanzione è quindi diminuita, passando dagli attuali 154,00 euro a 100,00 euro.
Tale sanzione, indipendentemente dal ravvedimento operoso, è ridotta a 50,00 euro se il ritardo non è superiore a 5 giorni lavorativi.
20 Indebite compensazioni
Viene disciplinato interamente nell’art. 13 del DLgs. 471/97 l’aspetto sanzionatorio delle indebite compensazioni, sia di crediti esistenti che inesistenti. Conseguentemente, viene abrogato l’art. 27 co. 18 del DL 185/2008.
L’utilizzo di un’eccedenza o di un credito d’imposta “in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti” è sanzionato nella misura del 30% del credito utilizzato, salva l’applicazione di leggi speciali. Sembra che il legislatore alluda a particolari disposizioni delle leggi istitutive del credito d’imposta, che, in genere, sarà un credito da dichiarare nel quadro RU del modello UNICO.
Così, sarà pacifica la sanzione del 30% per lo splafonamento (ipotesi già considerata sanzionabile nella misura del 30% dall’Agenzia delle Entrate, cfr. circ. 13.3.2009 n. 8, § 7.1), la mancata apposizione del visto di conformità (ipotesi già considerata sanzionabile nella misura del 30% dall’Agenzia delle Entrate, cfr. circ. 15.1.2010 n. 1, § 1 e 25.9.2014 n. 28, § 7) e, in special modo, per le irregolarità circa l’utilizzo dei crediti derivanti dalla legislazione speciale, da indicare nel quadro RU del modello UNICO, come il mancato rispetto di limiti temporali e/o quantitativi.
Ove, di contro, l’utilizzo concerna crediti inesistenti indebitamente compensati, la sanzione è dal 100% al 200% della misura del credito stesso. In tal caso, non è mai ammessa la definizione agevolata della sanzione ai sensi degli artt. 16 e 17 del DLgs. 472/97.
Rispetto a quanto previsto dall’art. 27 co. 18 del DL 185/2008 (che viene contestualmente abrogato), viene meno l’aumento della sanzione al 200% quando l’importo del credito inesistente supera i 50.000,00 euro per anno solare.
Per contro, non essendo stati abrogati i co. 16 e 19 del menzionato articolo, le somme derivanti dal recupero dei crediti indicati potranno essere richieste entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello di utilizzo del credito stesso, e potranno, in caso di mancato pagamento, essere iscritte nei ruoli straordinari ex art. 15-bis del DPR 602/73, con integrale riscossione anche in caso di ricorso.
Viene fornita la definizione di credito inesistente, intendendosi per tale “il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile” mediante la liquidazione automatica della dichiarazione.
Da questo si deduce che potranno essere ritenuti inesistenti, ad esempio, i crediti da indicare nel quadro RU rispetto ai quali difetta, in origine, il presupposto per l’agevolazione (si pensi al credito per incremento occupazionale, fruito da un contribuente che non ha assunto dipendenti, o al credito per ricerca/sviluppo senza che sia stata sostenuta una spesa per ricerca).
Invece, non rientrano mai nell’ambito applicativo della sanzione per compensazione di crediti inesistenti (dal 100% al 200%), ma nella più mite sanzione del 30%, i crediti che, sebbene siano inesistenti, emergano dalla liquidazione automatica della dichiarazione (di fatto, si conferma la presa di posizione della circ. Agenzia delle Entrate 10.5.2011 n. 18).
È bene evidenziare che il ravvedimento operoso, se posto in essere prima dell’apertura del dibattimento di primo grado, esclude la rilevanza penale dell’indebita compensazione di crediti “non spettanti”, mentre rappresenta una circostanza attenuante (con riduzione della pena sino alla metà) per le compensazioni di crediti “inesistenti”.
21 Revisori legali
Viene modificato in maniera significativa il sistema sanzionatorio previsto nei confronti dei revisori legali.
L’art. 1 co. 5 del DPR 322/98 stabilisce che la dichiarazione delle società e degli enti soggetti all’IRES, sottoposti al controllo contabile ai sensi del codice civile o di leggi speciali, è firmata anche dai soggetti che sottoscrivono la Relazione di revisione di cui all’art. 14 del DLgs. 39/2010. Essa, se non sottoscritta, è valida, ferma la sanzione da 258,00 euro a 2.065,00 euro ex art. 9 co. 5 del DLgs. 471/97.
Per effetto dell’art. 14 co. 1 del DLgs. 39/2010, il revisore legale o la società di revisione legale incaricati di eseguire la revisione legale dei conti, esprimono un giudizio sul bilancio, ove è indicato se questo è conforme alle norme che ne disciplinano la redazione e se rappresenta in maniera veritiera e corretta la situazione patrimoniale e finanziaria e il risultato economico dell’esercizio. Il co. 3 di tale norma stabilisce: “nel caso in cui il revisore esprima un giudizio sul bilancio con rilievi, un giudizio negativo o rilasci una dichiarazione di impossibilità di esprimere un giudizio, la relazione illustra analiticamente i motivi della decisione”.
Ai sensi dell’art. 9 co. 5 del DLgs. 471/97, i soggetti che nella Relazione di revisione omettono di formulare un giudizio negativo, oppure un giudizio con rilievi o l’impossibilità di esprimere un giudizio, qualora le circostanze lo avrebbero invece richiesto, sono puniti, nei casi in cui da tali omissioni derivino l’infedeltà della dichiarazione dei redditi/IRAP, con una sanzione fino al 30% del compenso contrattuale relativo all’attività di redazione della Relazione, non superiore all’imposta accertata a carico della società.
Il richiamato art. 9 co. 5 del DLgs. 471/97 viene sostituito, sancendo che, ove la dichiarazione dei soggetti IRES sottoposti al controllo contabile ai sensi del codice civile o di altre leggi speciali non sia sottoscritta dai soggetti che sottoscrivono la Relazione di revisione ex art. 1 del DPR 322/98, opera una sanzione fino al 30% del compenso contrattuale relativo all’attività di redazione della relazione di revisione, e, comunque, non superiore all’imposta accertata a carico del contribuente, con un minimo di 250,00 euro.
Dunque, da un lato, viene meno la sanzione del 30% connessa al giudizio del revisore legale sul bilancio, dall’altro, quella contemplata per la mancata sottoscrizione della dichiarazione non è più in misura fissa, ma può arrivare sino al 30% del compenso contrattuale.
22 Associazioni sportive dilettanistiche
Viene abrogato l’art. 25 co. 5 della L. 133/99, nella parte in cui prevede la decadenza dalle agevolazioni sancite dalla L. 398/91 nel caso in cui venga violato l’obbligo di tracciabilità degli incassi e dei pagamenti di importo pari o superiore a 1.000,00 euro.
Tale articolo sancisce che le associazioni sportive dilettantistiche che applicano il regime agevolato della L. 398/91 (ossia con reddito d’impresa forfetizzato e pari al 3% dei proventi commerciali introitati) hanno l’obbligo di effettuare incassi e pagamenti, per somme pari o superiori a 1.000,00 euro, esclusivamente attraverso modalità tali da permettere la c.d. “tracciabilità” (ossia tramite sistema bancario/postale), al fine di rendere efficaci i controlli tributari.
La violazione dell’art. 25 della L. 133/99 comporterà, quindi, solo l’applicazione della sanzione di cui all’art. 11 del DLgs. 471/97, da 250,00 euro a 2.000,00 euro.